Standard Work
31 agosto 2011 § Lascia un commento
Il Lavoro standard è definito come:
Il metodo più efficiente per produrre un prodotto (o un servizio) rispetto ad un flusso equilibrato raggiungendo la velocità di output desiderato. Si suddivide il lavoro in elementi, che sono in sequenza, organizzata e seguita ripetutamente.
Ogni fase del processo deve essere definita e deve essere effettuata più volte nello stesso modo. Eventuali variazioni nel processo potranno creare un aumento del tempo ciclo e quidni causare problemi di qualità, di fatto lo STD work descrive come un tipico processo dovrebbe sempre essere eseguito secondo le cosiddette ‘best practice’; Allo stesso tempo fornisce una base da cui un migliorare, un approccio che può essere sviluppato e che consente il miglioramento continuo dei metodi di apprendimento. Tre i componenti necessari a lavoro standard sono (1) takt time, (2) tempo di ciclo e (3) SWIP (Standard Work-in-Progress).
Lo sviluppo di lavoro standard è una delle più difficili discipline Lean, tuttavia, se sviluppata in modo efficiente, dovrebbe permettere a chiunque di eseguire il lavoro senza alcuna variazione nel risultato desiderato.
Lo STDW è suddiviso in due documenti principali
– Foglio di lavoro standard
– Foglio delle combinazioni di lavoro Standard (standard Work Combination Sheet)
Il lavoro standard è il metodo, da abbinare ad altri elementi fondamentali (manodopera, materiali, macchinari, metodi). Il lavoro standard è solo “il più efficace” fino a quando il livello è migliorato. Questo viene fatto attraverso un processo continuo denominato kaizen.
è possibile affermare che:
Per un processo che non si ripete o che è troppo variabile potrebbe non essere possibile stabilire lo standard di lavoro di base a queste condizioni (takt time non è significativo, sequenza di lavoro varia, Standard WIP varia), sarà quindi necessario in questo caso, eliminare la variabilità o standardizzare il processo e la creazione di un flusso ripetitivo è il primo passo in kaizen.
Poniamoci alcune domande che ci aiuteranno a comprendere meglio cosa significa creare uno standard:
Esiste una norma?
Come si fa a sviluppare uno standard?
Come possiamo verificare che lo standard è comprensibile per coloro che devono fare il lavoro?
Come possiamo verificare che lo standard è comprensibile per coloro che non devono fare il lavoro?
Qual è la nostra prestazione contro lo standard?
Perché non siamo di eseguire secondo lo standard?
Perché stiamo eseguendo al di sopra dello standard?
Cosa stiamo facendo per soddisfare lo standard?
Cosa possiamo fare per migliorare la condizione attuale?
Come possiamo rendere la condizione anomala più immediatamente visiva?
Perché pensi che ti ho chiesto queste domande?
Quali altre domande avresti voluto che hanno chiesto?
Lo STDW ha una serie di vantaggi:
Semplicità per garantire un risultato uniforme di qualità
Semplicità nella risoluzione dei problemi
Semplicità nel lavoro di miglioramento
Semplicità nella determinazione di una equa retribuzione
Semplicità di formazione lavoro
Semplicità nelle assunzioni e la trasmissione di buone pratiche
Semplicità nella comunicazione
Ora ditemi dei buoni motivi per non creare uno standard
Cina: introdotti oltre 3600 talenti stranieri di alto livello
29 agosto 2011 § 1 Commento
Ci tengo ad evidenziare questo articolo, trovato su CRI online, dove possiamo comprendere cosa la Cina, stia facendo.
Le mie domande sono ovviamente provocatorie…
Ma non siamo noi quelli conosciuti per innovazione e tecnologia?
Come mai tutti stanno scappando?
Dove siamo noi oggi?
Dove stiamo andando?
Se ci portano via anche la creatvita’, o meglio le menti creative, cosa ne sara’ del futuro dell’Italia?
Con questo possibile scenario, l’applicazione della lean organization, sara’ sufficiente per essere competitivi?
Vi prego di leggere e attendo vs commenti
Dalla 9ªconferenza cinese sul lavoro degli affari esteri della scienza e tecnologia, tenutasi il 28 agosto a Beijing, è emerso che negli scorsi 5 anni, la Cina ha introdotto oltre 3600 talenti stranieri di alto livello. Questi talenti sono tutti scienziati che si sono impadroniti di tecnologie chiave e hanno sviluppato nuovi settori strategici, e pionieri dell’innovazione e dell’imprenditoria.
Finora la Cina ha costituito 33 centri di ricerca congiunta internazionale di livello statale, 207 basi di cooperazione tecnologica internazionale e 5 parchi dell’innovazione internazionale, e ha ormai formato delle zone pilota di elevamento della capacità di innovazione autonoma con le risorse tecnologiche mondiali, e zone sperimentali di innovazione delle strutture di gestione.
Inoltre la Cina rafforza la cooperazione tecnico-scientifica con i paesi in via di sviluppo, e aiutandoli a sviluppare la scienza e tecnologia, promuove il trasferimento internazionale e l’applicazione della sua tecnologia avanzata e applicata, soddisfacendo le necessità dei paesi in via di sviluppo di elevare la loro capacità tecnico-scientifica.
Le fasi della crescita aziendale
29 agosto 2011 § Lascia un commento
Le fasi della crescita aziendale
Oggi vorrei concentrarmi sui fattori organizzativi legati alla crescita dimensionale delle aziende, soprattutto con riferimento alla piccole/medie imprese, che costituiscono la maggioranza del tessuto industriale italiano.
Questo soprattutto nell’ottica di superare la gestione a logica familiare e entrare nella logica di gestione manageriale.
Diversi studiosi si sono concentrati su questi concetti e una delle teorie più note è quella dello studioso statunitense Steinmetz che, nel 1969, ipotizza che, per svilupparsi, l’impresa deve passare attraverso quattro stadi di sviluppo e tre momenti di crisi nel passaggio da uno stadio all’altro.
1) Supervisione diretta: Il proprietario-imprenditore è accentratore autoritario: controlla tutto. I suoi punti di forza sono le abilità e la creatività. Nel corso della fase, se l’azienda ha successo, le dimensioni dell’azienda aumentano e diventa difficoltoso esercitare una efficace supervisione. In risposta a questa situazione, l’imprenditore deve modificare il proprio stile direzionale e mostrare una maggiore propensione alla “delega”.
2) Supervisione controllata: l‘imprenditore diventa un vero e proprio manager, in grado di assegnare (non si può ancora parlare propriamente di delega) i compiti di routine a persone di fiducia. Queste persone, di solito familiari o amici stretti, continuano a dipendere dalle direttive particolareggiate del fondatore. Non c’è una reale autonomia dei manager. Se anche questa fase ha successo anche questa forma di controllo comincia a manifestare le ovvie problematiche. L’imprenditore si trova a dover affrontare situazioni caratterizzate da complessità sempre maggiore, con l’esigenza di motivare e controllare i propri collaboratori, che possono essere gestiti efficacemente se egli riesce a diventare un buon amministratore, ossia attento all’efficienza dell’azienda, alla misura delle performance e al controllo dei relativi costi. Si passa pertanto al
3) Controllo indiretto: prevede un ulteriore ricorso da parte dell’imprenditore alla delega di alcune funzioni chiave ai manager, con conseguente espansione orizzontale che si verifica a livello del vertice aziendale. In questo stadio, in genere, si assiste oltre che all’aumento della complessità strutturale interna all’azienda, anche a possibili contrazioni delle vendite e quindi dei profitti, a causa della maturità raggiunta dai prodotti dell’impresa stessa e della numerosità dei concorrenti operanti nel settore. Se l’impresa reagisce e continua a crescere, ormai raggiunge dimensioni non più da PMI, andiamo al quarto e ultimo stadio.
4) Organizzazione divisionale: Il ricorso alla struttura divisionale è considerato un elemento imprescindibile per assicurare all’impresa una corretta gestione delle risorse e delle strutture. Il management definisce autonomamente le politiche di interi settori del business, garantendo alla proprietà il raggiungimento di risutati concordati.
Al di là degli ovvi limiti di questo modello e degli sviluppi seguiti da altri studiosi, rimane importante constatare che ciascun passaggio, delineato o meno che sia come sopra, comporta una crisi interna all’azienda, con conflitti e difficoltà strategiche (dove stiamo andando?) e organizzative (qual è il mio ruolo?) con possibili conseguenza anche sul business sviluppato.
Il non volere molte volte affidare delle deleghe complete a manager esterni (visti come estranei), magari con la scusa che l’Azienda ha le sue particolarità (“noi siamo un’azienda diversa dalle altre”), impedisce un’azione forte e coesa nel raggiungere gli obiettivi.
A maggior ragione se poi si profila il cambio generazionale. Sebbene la seconda generazione sia ormai preparata, ha bisogno di trovare un terreno differente su cui agire, in modo da potersi inserire affiancando i manager ormai nel pieno dei loro poteri e poter quindi scegliere un proprio stile imprenditoriale, senza dover per forza scimmiottare lo stile, ineguagliabile, del fondatore.
Sembra quindi che il percorso delineato da Steinmetz, con tutti i distinguo del caso, sia ancora l’unica via per gestire la crescita aziendale e, soprattutto, il ricambio generazionale nelle aziende.
Ma perché l’azienda deve per forza crescere? E quali sono gli elementi che le possono favorire la crescita?
Ing. Sergio FANDELLA
Zona di controllo nella Toyota
8 agosto 2011 § Lascia un commento
Vi invito a leggere un articolo interessante di Encob Blog
Zona di controllo nella Toyota — Encob Blog.
Vi ricordate qualche giorno fa che ho parlato dei confini del sistema?
In quel articolo ho definito tre zone che definiscono un sistema: la zona di controllo, la sfera di influenza e l’ambiente esterno.
Ecco, l’altro giorno mi è capitato un bel articolo di Jon Miller su Gemba Panta Rei che parla della zona di controllo presso la Toyota (traduzione automatica).
In pratica cosa dice l’articolo? Parla del restringimento della zona di controllo per gli ingegneri nella progettazione con inserimento di una nuova posizione di responsabilità, in modo tale che ogni responsabile non debba controllare direttamente più di 5 altri ingegneri sottostanti.
Perché il numero 5? E’ noto dagli studi delle dinamiche comportamentali che una persona non può controllare più di 5 +/- 2 persone in maniera efficiente, senza perdere il focus sugli obiettivi ed essere distratto. E in Toyota tutte le squadre sono costituite con questa regola. Tranne in engineering, dove questa regola adesso viene ripristinata (c’era già ma le gestioni precedenti l’avevano eliminata – si torna alle origini, come disse Akio…).
5 persone vuol dire avere diretto controllo delle persone e potere aiutare tutti quanti e farli crescere in maniera equilibrata. La parola d’ordine è insegnamento e sviluppo delle persone. Quando si sta in piccoli gruppi si riesce a imparare meglio dai propri errori, a imparare meglio da quelli degli altri, a crescere di più tutti quanti insieme.
La Toyota già ha una base di dati enorme ed organizzata in maniera spettacolare, con 50 o più anni di raccolta dati, sperimenti, ipotesi ed errori commessi con le relative spiegazioni. Adesso restringendo la zona di controllo si vuole dare un ulteriore mazzata agli errori che hanno portato al recente richiamo dei loro veicoli ed eliminare tutte le possibilità affinché questo accada in futuro.
Ridurre la zona di controllo è una pratica che raramente viene incontrata nelle aziende tradizionali. Si fa solitamente esattamente l’opposto: si aumenta la zona di controllo, in modo che una persona controlli direttamente un numero sempre maggiore delle persone. Si pensa che così vengono ridotte le spese e i costi di gestione. Ma ciò che accade è l’esattamente opposto: le spese e gli errori aumentano, perché una persona da sola non è in grado di tenere sotto controllo un gran numero dei sottoposti. Perde il controllo dopo poco e tra le persone nasce l’anarchia, ognuno tenta di fare il proprio meglio senza cercare di consultare il capo che è molto impegnato con altri problemi delle altre persone, molto più importanti del vostro.
Vi suona familiare questa ultima frase?
La lean organization, buon senso, comunicazione e “gioco di squadra”
4 agosto 2011 § Lascia un commento
Prima di andare in Vacanza, vorrei lasciare con un breve inciso sulla Lean di cui tutti parlano e discutono…di seguito poche parole per descriverla..
Solo perché la lean production è nata quasi 100 anni fa (si dice addirittura ai tempi dell’antica Venezia) non significa che sia meno rilevante nel mondo del business moderno. Questa strategia è ancora ampiamente studiata e ampiamente ricercata da aziende e industrie di tutto il mondo.
L’obiettivo è di procedere diritti verso l’obiettivo: ridurre la quantità di spreco per aumentare la produzione e il profitto. Tuttavia, questa strategia deve essere guidata dal personale dell’azienda. Perché questo accada, le persone devono possedere l’orgoglio nel loro lavoro e devono essere incoraggiati a parlare dei problemi che stanno incontrando; La comunicazione è fondamentale per l’ambiente di lavoro, permette di affrontare questioni dal basso verso l’alto in tempi ridotti.
Ogni singola attività può beneficiare di questo approccio, perché lo scopo è quello di eliminare completamente lo spreco. Spreco non significa spazzatura, ma bensi eliminare gli sprechi presenti nel processo produttivo o meglio organizzare gli spazi di lavoro al fine di raggiungere un elevata efficienza produttiva, rispettando i criteri di qualità. Per un’azienda, lo spreco può costare un sacco di soldi e può causare i tempi di fermo. Con un flusso di produzione migliore, un maggiore livello di output si raggiungeranno profitti importanti.
In teoria, l’idea di inclinazione è relativamente facile da afferrare. Ma i passi che devono essere prese per la sua attuazione richiede una grande quantità di coerenza, altrimenti non funzionerà. È molto importante che i dipendenti si sentono responsabilizzati e orgoglioso del lavoro che svolgono. I dipendenti con un alto livello di soddisfazione nel lavoro offrirà più uscita.
La chiave è quella di garantire che l’attività non torni ai suoi vecchi metodi di produzione e ciò può essere ottenuto attraverso revisioni periodiche del flusso di produzione. Eventuali problemi devono essere affrontati immediatamente e immediatamente devono essere risolti. Questo ci permetterà di arrivare ai più alti livelli di produzione, con meno spreco e maggiore reddito.
Il percorso non è e non sarà facile, non avrà mai un termine, una volta arrivati alla meta, troverete altre possibilità di crescita..
Buone Vacanze a tutti
3 Ragioni per lavorare alla grande con i Partner
1 agosto 2011 § Lascia un commento
Imprenditori di successo e innovatori potrebbe essere volitivi individui unici con i sogni, ma non sono fai-da-te. I leader possono essere scelti per le loro realizzazioni, ma il meglio di loro viene generato quando camminano mano nella mano con partner forti. Anche i “solopreneurs”, un termine nuovo per le persone che lavorano da sole, hanno bisogno di un sistema di supporto.
I “compagni di squadra” al tuo fianco sono certamente importanti e fanno parte della “famiglia”, ma ancora più importante sono i partner o alleati non direttamente coinvolti nel progetto o impresa che vi aiutano a estendere la portata e ottenere ciò che vi serve per avere successo – principali fornitori, distributori, co-sviluppatori, designer indipendenti, testimonial, e oltre rappresentano la famiglia allargata.
Motivo # 1: Prendere i migliori partner prevede, anzitutto, enormi vantaggi. I principali player non solo hanno una buona tecnologia o capacità, ma pensano ad alleati e alleanze fin dall’inizio. Società che sono emerse in maniera dominante a livello tecnologico – Apple negli smartphone, Facebook nei social media, in aste online eBay, Amazon nel commercio elettronico – hanno acquisito partner in anticipo alla concorrenza; Di fatto hanno costruito piattaforme sulle quali altri avrebbero potuto costruire imprese. Apple ha cercato un partner per la produzione di smartphone e successivamente si è stato aperto il commercio con gli sviluppatori di applicazioni, dando un vantaggio di Apple con migliaia di imprenditori e piccole imprese che hanno reso l’iPhone il mezzo preferito per le applicazioni aziendali anche di grandi dimensioni.
Motivo # 2: Alleati = parità di accesso. Essi forniscono credibilità. Parlano per voi in posti in cui voi non potreste andare – forse non siete invitati, e lo sono. Loro combattono per voi in incontri che non potete frequentare, ecco perché le persone che rappresentano gli sponsor hanno maggiori probabilità di successo nelle grandi organizzazioni. Partner e alleati sono in grado di fornire finestre su nuove idee e presentazioni di nuovi territori, sia a clienti che a fornitori, o opinion leader e le piccole e medie imprese che forniscono le grandi aziende possono utilizzare queste relazioni per ottenere l’accesso ai mercati in crescita distanti da loro o di difficile accesso. Talvolta l’introduzione vale più del contratto originario, ma non si sarebbe potuto fare senza il partner. Per alcune aziende in fase di avvio, i rapporti giusti hannopiù valore del denaro; Per i soldi di cui hanno bisogno,è sufficiente avere accesso a coloro che li possono fornire.
Motivo # 3: non è possibile affrontare il male da soli. Va bene, il male è una parola forte, ma nel caso di corruzione o di ingiustizia, si cerca di adattarsi. I principi valgono anche per barriere “benigne”, come stabilimenti recalcitranti, boss ostinati, o soci riluttanti. Allineando altri che si sentono allo stesso modo di fronte ad una barriera o ad un ostacolo permette di avviare un percorso di cambiamento in maniera più facile. Le coalizioni danno credibilità,le stesse forniscono copertura per le decisioni controverse, in modo che tu non sei un bersaglio per ritorsione, o almeno non solo – un principio usato nella copertura aerea intorno alla Libia.
La lezione è chiara per tutti, se siete un imprenditore, attivista, o un manager di una società gigante: Avere il miglior partner non è solo un risultato di successo, è vitale per il successo.
Pensate a potenziali partner, anche mentre la visione sta prendendo forma, audacemente bussate alle porte, e agite in grande anche se siete piccoli. Trova sostenitori iniziali e sostenitori che apriranno le porte agli altri. Ma sempre seguire la prima regola della costruzione della coalizione: i partner e gli alleati devono essere valutati, onorati, apprezzati, applauditi, e, soprattutto, devono avere qualcosa in cambio che li arricchisce.
Obiettivo Zero Difetti
1 agosto 2011 § Lascia un commento
Applicabile o no in Italia? ritenete che nella nostra cultura si possano applicare certi concetti?
Belle domande direte voi, io vi dico che per esperienza è molto difficile, e ci vuole tempo, molto tempo, ma sto vivendo in un’azienda delle mie parti un esperienza che si avvicina molto.
Con questi ragazzi abbiamo fatto squadra, ci confrontiamo, e vi posso garantire che in breve tempo arriveremo a grandi risultati..
a presto e commentate..
On his blog, John Toussaint shared this letter from ThedaCare CEO Dean Gruner to all employees. Toussaint said the letter is inspired by Paul O’Neill and his thoughts on patient safety (you can hear my podcast with O’Neill here, as well as a podcast with Dr. Gruner).
Dean starts the letter with:
For about a year now, several members of our team have been having conversations about what is possible, what is likely, and how we use the words “goal” and “target.” Much of this started when we had a conversation with Paul O’Neill, U.S. Treasury Secretary from 2001-2002 and former Alcoa CEO. Paul was insistent to the point of almost being annoying! He kept saying, “The goal must be zero.”
Gruner explains the difference between their “target” (50% reduction in infections) and their “goal” — zero.
Setting goals or targets does nothing to create improvement, in and of themselves. Goals can be inspiring – who wants to see a patient suffer through a painful infection? Targets, used in the wrong environment, can be incredibly dysfunctional.
If people have a target and they fear being punished or fired for not meeting that target, all sorts of dysfunctional things happened. Dr. Deming famously told a story about a factory that was offering a prize for workers if there were zero injuries (or some such target). What happened was simple and understandable – people just stopped reporting injuries. That’s not real improvement. And we have to be careful for the same thing in healthcare. Read about what happened in the British NHS when fear of targets led people to game the system.
From my visits to ThedaCare, my hunch is that their use of targets and goals will not be punitive. It’s more likely to drive improvement than fear because they also have a METHOD for improvement – Lean and the ThedaCare Improvement System. Dr. Deming used to ask, “By what method?” ThedaCare has a method and I think they have the right culture for improvement, a culture they are tirelessly working to improve.
Dean ends his letter with the following:
To me, this goal of zero is very motivating because it reminds all of us of what we would want for ourselves, our families and friends. Yes, it is very daunting and we will not get there as quickly as we might like. In fact, for some of our work we might never get to zero. But by choosing the right goal we will work like heck to improve our performance year over year and achieve progress that we otherwise might never dream of. So to be clear and unambiguous, the goal is zero defects and the target is improvement. Let’s use these words properly as we go forward so we know what each other is talking about.
It’s not just the words – it’s the culture and the mindset that creates improvement instead of fear.
FONTE:
About LeanBlog.org: Mark Graban is a consultant, author, and speaker in the “lean healthcare” methodology, focused on improving quality and patient safety, improving access, reducing costs, and fully engaging healthcare professionals. He is also Chief Improvement Officer for KaiNexus.