Cinque motivi per cui le persone non dicono quello che sanno
11 luglio 2011 § Lascia un commento
Le Società sprecano milioni quando impiegati e direttori non condividono la loro conoscenza. Ma cambiare significa proprio comprendere perché questo non avviene.
Anni fa, feci un discorso ad un gruppo di dirigenti di un’azienda di informazione, conoscenza e comunicazione sociale. Parlando del cambiamento, piuttosto che della gestione della conoscenza, alla fine chiesi “Quanti di voi condividono cosa sanno? “. In mezzo a 200 persone, solamente tre alzarono la mano. Chiaramente, se le persone responsabili nel guidare, creare e promuovere il concetto di condivisione delle conoscenze, non le applicassero, noi ci troveremmo di fronte ad un grande problema, un problema umano, non un problema di tecnologia.
Ed ancora, quando analizzai la ricerca, la maggior parte della letteratura riguardava la tecnologia; alcune di esse riguardavano la cultura sociale; ma nessuna trattava gli inibitori individuali e motivatori alla condivisione.
C’è un elevato grado di conoscenza a tutti i livelli di un’organizzazione che riguarda i bisogni dei clienti, come i processi potrebbero essere migliorati o che prodotti nuovi e servizi potrebbero essere sviluppati.
Nel tentare di catturare e comunicare questa saggezza cumulativa, numerose società per azioni hanno investito centinaia di milioni in portali sociali, collaboratori di software ed intranet KM-diretto.
Ma condividere la conoscenza è più importante della tecnologia che la sostiene, più di una strategia di affari, che punta ad ottimizzare una società con esperimenti ed esperienza, ed è più importante anche di un passaggio culturale dall’era industriale all’età dell’informazione.
Condividere la conoscenza significa “lavorare”, prima di tutto, sulle persone.
Le persone che condividono quello che sanno, quando è loro richiesto, creano una nuova rete che “modernizza l’organizzazione”, dice Laurence Prusak, il guru della conoscenza, leader della IBM.
Nel perfetto modello di condivisione-conoscenza, i direttori non vengono valutati perché conoscono più del loro staff o perché possono comunicare rapidamente allo staff quello che sanno e trovano nei membri dello stesso, aiuto in questo lavoro di trasmissione.
I Leader costruiscono ambienti di fiducia e rispetto reciproco dove il contributo creativo è crescente e dove impiegati a tutti i livelli capiscono che, per avere successo in questo modo, è richiesta la collaborazione di tutti.
Questo sarebbe l’ideale.
La realtà è piuttosto diversa. Ho completato recentemente un esame, svolto su un gruppo campione di 200 direttori di medio-livello, sullo stato di conoscenza che viene condivisa nelle loro società, che conferma quello che stanno sperimentando molti professionisti di KM: tutti trattengono le informazioni e le esprimono solo “alla necessità di sapere” ed i dirigenti d’azienda chiedono un contributo ai loro collaboratori solo quando ciò che manca loro realmente è un nulla osta per decisioni già prese. In questo modo le persone non hanno condiviso quello che conoscono, interponendo così una varietà di inibitori personali ed organizzativi.
Questa evidenziazione delle barriere umane sottolinea l’importanza di captare i problemi delle persone nella gestione della conoscenza, prima di contare sulla tecnologia, per migliorare la comunicazione.
Questa sta divenendo una realtà estremamente costosa, difficile da misurare per le Società.
Valutare e bloccare i costi e le inefficienze sono il risultato di un lavoro intellettuale, che mostra l’inabilità di trovare risorse di conoscenza.
Secondo questo criterio, il deficit di conoscenza fra le 500 società Lucky, costa loro, complessivamente, 12 miliardi di dollari ogni anno.
Oltre a ciò, i migliori test e lezioni apprese hanno i potenziali per salvare molti billioni di dollari delle società.
Kenneth Derr, il formatore CEO di Chevron, vede così la situazione: “Ogni giorno in cui una migliore idea non viene utilizzata è un’opportunità persa. Noi dobbiamo condividere di più e più velocemente. Io dico agli impiegati che condividere ed usare le migliori tecniche sono le sole cose importanti che possono fare”.
Più facile dirlo che farlo.
Ci sono molte ragioni per cui le persone sono riluttanti a condividere quello che sanno:
– sono occupati e non hanno tempo per condividere.
– dimenticano di farlo.
– non vogliono ulteriore lavoro e le responsabilità che ne conseguono.
– sono assegnati a progetti che sentono indegni del loro contributo (un termine derisorio per loro è WOMBAT (spreco di soldi, cervelloni e tempo).
Ma quanto comuni possono essere queste condizioni, tanto esse non potevano essere le uniche risposte riscontrabili nella maggior parte delle mie ricerche.
Ecco le principali cinque ragioni per cui la gente non dice quello che sa:
1. Le persone credono che la conoscenza sia il potere
“Se io so qualcosa che tu non sai, io ho qualcosa più di te.”
Gli attuali sistemi istruttivi sono progettati per scoraggiare la diffusione delle informazioni. Se io do una risposta durante una prova e noi siamo classificati su una curva, io mi metto messo in posizione di svantaggio.
Più persone ancora lottano contro l’idea che “se io dico quello so, perdo qualcosa.”
Quando la valutazione di una società, è basata su numeri relativi, la percezione è che condividendo le proprie conoscenze si riduca l’opportunità del successo personale.
Perciò, la prima soluzione ovvia è cambiare il sistema di ricompensa.
Devono essere promosse le persone che imparano ed insegnano, mentre devono essere penalizzate quelle che non lo fanno.
In alcune società, accumulare conoscenze e non costruire nessuna idea, può comportare problemi alla propria carriera.
In alcune società americane di Gestione di Sistemi, le persone che mettono a disposizione le loro conoscenze istruendo i colleghi, aiutando altri ed insegnare al personale subalterno, si trasformano in leader di pensiero, creando così un lavoro di squadra tra le persone. Si capisce che il proprio crescere personale è più potente dei soldi.
Per 25.000 tecnici di servizio alla Xerox, in tutto il mondo, contribuire al database di Eureka con chiarimenti sulla manutenzione, è un’opportunità per divenire noti e conosciuti come leader di pensiero. Essere identificato personalmente con la soluzione ad un problema difficile, al servizio della Xerox, di fronte al mondo, rappresenta il più grande incentivo per le persone affinché contribuiscano alla condivisione della conoscenza. Alla Xerox, loro dimostrano che quell’accumulo di conoscenza non è più il potere, ma una eccellente reputazione.
2. Le persone sono insicure del valore della loro conoscenza
“Io sento che persone tendono a sottovalutare gli esperienze fatte durante la loro vita e per delle persone senza un’istruzione formale, è difficile credere che possano aggiungere valore in un modo molto diverso.”
Il mio ultimo libro, “Storia Fantasma: Una Favola di Affari Moderna”, la protagonista del libro ha un carattere per cui non condivide la sua conoscenza perché crede di non avere niente da offrire agli altri. Dot (l’eroina del libro) è un esempio di cosa intendono gli educatori come “competenza inconscia”. Semplicemente, lei non sa quello che sa. E, poiché lei non si sente in grado ed è intimidita in tutte le discussioni di squadra, crede che il suo contributo non abbia valore. (Alla fine, chiaramente, sono il suo coraggio, forza, e saggezza innata ad emergere).
Ci sono micro-culture in ogni organizzazione. Nonostante la cultura sociale e complessiva, sia i direttori individuali che i capi squadra possono creare un clima di collaborazione all’interno del loro gruppo di lavoro o personale.
I migliori leader dedicano parte del loro tempo e sforzo per rendere le persone più sicure.
Enfatizzano la forza delle persone, incoraggiando la condivisione di errori e le lezioni.
Chiariscono le loro aspettative ed i diversi ruoli individuali.
Aiutano tutti i membri a riconoscere il contributo che ognuno di loro può apportare alla squadra.
Modellano la franchezza, la vulnerabilità e l’onestà, raccontano storie dei successi di gruppo e sfide personali. E la maggior parte di loro incoraggia e rispetta ogni contributo.
3.Le persone non hanno fiducia l’un nell’altro
“Io non ho conosciuto personalmente gli altri membri della squadra, cosicché non ho acquisito fiducia in loro.”
Una cultura per la collaborazione deve essere basata sulla fiducia. Troppo spesso incominciamo nuovi progetti unendo gruppi di persone e diciamo loro semplicemente di “lavorare”. Questo approccio testato è meno produttivo, in quanto il gruppo non ha avuto il tempo di scoprire l’uno le forze dell’altro e la debolezza, né sviluppare una visione comune del progetto.
Insomma, alto turnover delle persone, sospensioni di massa ed i primi pensionamenti sviluppano la fiducia reciproca necessaria per costruire relazioni forti in tutta l’organizzazione.
Anche la motivazione, per gli individui, ad offrire conoscenza ad una banca dati elettronica è dipendente dalla relazione dei membri che usano il sistema. Se gli individui non hanno fiducia tra loro e nella loro conoscenza, credono che altri non potranno contribuire, ed è improbabile che il sistema potrà essere efficiente. La tecnologia può facilitare la condivisione della conoscenza ma deve essere abile nel farlo credere alle persone.
Siccome molte persone sono naturalmente riluttanti a trasmettere le informazioni ad altri, quando non sono sicuri delle loro conoscenze, la soluzione è creare l’opportunità alle persone per incontrarsi ed interagire in setting formali ed informali.
– Dare alle persone il tempo di sviluppare relazioni,
– valutare l’un l’altro la fedeltà ed imparare abbastanza bene l’uno dall’altro forze e debolezze per adattarsi costruttivamente a esse.
Il tempo dedicato a costruire ciò è il “capitale sociale” dell’inizio di un progetto e aumenta sempre più l’efficacia della squadra.
La fiducia è fragile; deve essere costruita lentamente con il tempo, deve crescere come le persone, correre i piccoli rischi ed aspettare quegli azioni che giustificano la fiducia. E, a meno che ci siano riserve sulla fiducia reciproca, essa può essere distrutta durante la notte.
La buona notizia è che quando la fiducia è penetrante diviene la forza che stimola la squadra, rilancia un contributo creativo e fa in modo che si lavori insieme con gioia.
4.Gli impiegati hanno paura di conseguenze negative
“Io avevo paura che la mia idea potesse essere messa in ridicolo se fosse stata leggermente oltre la normalità, piuttosto che considerata fonte di idee utili.”
Anni fa ebbi l’opportunità di parlare con il vincitore del Nobel, Linus Pauling. Quando gli chiesi del più grande ostacolo all’innovazione, lui rispose che “ogni processo istruttivo, scientifico od organizzativo” è la stasi del flusso delle idee.
La conoscenza è estremamente contestuale. È provocata dalle circostanze, come quando alle persone giuste accade di incontrarsi nel momento giusto e scoprire, nel corso della conversazione, che ognuno dei due ha delle informazioni di cui l‘altro aveva bisogno.
Quindi due cose sembrano evidenti:
1) Condividere la conoscenza è una qualità elusiva, circostanziale;
2) E’ nella combinazione ed incontro di idee che si creano nuove idee.
Diviene cruciale, poi, eliminare le barriere per creare un flusso libero di idee. Ognuno ha delle conoscenze ed è importante che vengano trasmesse a qualcun’altro, ed è possibile che ciò che viene detto sia essenziale per una soluzione.
Quando le opinioni sono messe in ridicolo, sono criticate o sono ignorate, le persone si sentono come punite per il loro contributo.
Tipicamente, le persone reagiscono estraniandosi dalla conversazione. Al contrario, quando le persone sono libere di fare domande “mute”, lanciare sfide, anche bizzarre, dare suggerimenti, trasmettendo la loro conoscenza, si forma un processo creativo di fusione di opinioni diverse, esperienze e prospettive verso un obiettivo condiviso.
5. Le persone lavorano per altre persone che non dicono quello che sanno
“Personalmente, ho avuto più problemi con direttori e manager che trattengono informazioni che con colleghi o membri di squadra”.
In ogni organizzazione gestire il flusso delle informazioni può diventare un ostacolo o un’incapacità alla trasmissione delle informazioni.
Nell’Era Industriale, la gestione dell’informazione era intenzionalmente ostruttiva come una questione politica. Gli impiegati non si aspettavano di contribuire al processo decisionale o alla risoluzione dei problemi, così le informazioni che loro avevano furono ristrette alla minima gestione.
Oggi, la collaborazione informata è vista come essenziale per il successo organizzativo, e i leader hanno bisogno di assicurarsi che ogni impiegato abbia accesso ad ogni fatto su ogni aspetto, affari, prodotti, e servizi competitivi e strategia organizzativa.
Inoltre, questo richiede un maggior investimento nello sviluppo istruttivo del personale, cosìcché tutti gli impiegati avranno una base abbastanza pratica per utilizzare i dati che si sono scambiati.
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